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FINE GIORNATA – EINSTEIN, NAGASAKI, LA ROSA BIANCA E IL DOVERE DELLA COSCIENZA NEL LAVORO PUBBLICO.
Questa “FINE GIORNATA” ci invita a riflettere sul senso profondo del lavoro pubblico e del sindacato: presidio di coscienza, scelta quotidiana di giustizia. Tra la lettera di Einstein e la Rosa Bianca, anche noi siamo chiamati a decidere da che parte stare. Sempre, anche quando nessuno guarda.
FINE GIORNATA
È LA RUBRICA CON LA QUALE IL SEGRETARIO GENERALE
DIRPUBBLICA COLLOQUIA PERIODICAMENTE CON I COLLEGHI
E I SIMPATIZZANTI DEL SINDACATO,
CHE HANNO RITENUTO D’ISCRIVERSI ALLA SUA
“MAILING-LIST” PERSONALE,
RACCONTANDO E COMMENTANDO FATTI E NOVITÀ RACCOLTI
NELL’ARCO DI UN DETERMINATO PERIODO O, APPUNTO,
A ...... “FINE GIORNATA”.
sabato 9 agosto 2025
Einstein, la bomba e un milione di rose bianche.
Carissimi,
“La coscienza non si difende con il sangue altrui”. Questa sera, nel silenzio che accompagna la fine della giornata, in occasione dell’ultimo infernale intervento atomico in territorio giapponese (80 anni fa a Nagasaki) riaffiora un pensiero già espresso nel passato, in un mio intervento perduto tra gli archivi ma vivo nella memoria. Parlava di scelte, di coscienza, di responsabilità. Era un documento su Albert Einstein, sulla bomba atomica, e su ciò che non si può giustificare nemmeno con la logica della guerra.
Il 2 agosto 1939, Albert Einstein firmò una lettera scritta da Leó Szilárd e indirizzata al Presidente Franklin D. Roosevelt, in cui si segnalava il pericolo che la Germania nazista potesse sviluppare un ordigno atomico. La missiva fu consegnata da Alexander Sachs l’11 ottobre dello stesso anno, dando ufficialmente avvio a quello che sarebbe diventato il Progetto Manhattan. Il resto, purtroppo, è storia nota.
Molti anni dopo, Einstein riconobbe: “Se avessi saputo che i tedeschi non ci sarebbero riusciti, non avrei mai scritto quella lettera”. Non fu dunque il suo intervento a evitare la supremazia tedesca, ma il limite stesso del nazismo. Le bombe sganciate su Hiroshima e Nagasaki, spesso giustificate come necessarie per porre fine alla guerra, sono in realtà la manifestazione estrema del fallimento della morale in tempo di conflitto. Il prezzo pagato fu altissimo, e non solo in vite umane: l’umanità scoprì, infatti, di potersi autodistruggere.
Personalmente, considero questo evento un crimine impunito contro l’Umanità. In quei due attacchi persero la vita circa 214.000 persone. Quanti di loro erano Giusti? Quanti non avevano mai sostenuto le guerre nipponiche? Quanti erano bambini, innocenti per definizione, il cui numero esatto non è ancora noto?
È evidente e fuori discussione, per me, la responsabilità degli Stati Uniti, certo! Ma il Giappone non era innocente! Ci siamo forse dimenticati del Massacro di Nanchino del 1937? Circa 14 anni prima dell’Olocausto, le truppe imperiali giapponesi si macchiarono di atrocità che, forse, fecero scuola ai nazisti. La Storia non è mai a senso unico.
Mi torna alla mente il dialogo tra Abramo e Dio, quando il patriarca implora la salvezza di Sodoma, non per i Giusti soltanto, ma per l’intera città, se almeno dieci Giusti vi fossero stati. Abramo parla con timore, quasi con pudore, come chi sa di non poter chiedere troppo. Eppure, osa: osa sperare che la presenza di pochi giusti possa riscattare molti colpevoli. Ma quei dieci non c’erano. E la città fu distrutta. Così accade nella Storia: non sempre la presenza dei Giusti è sufficiente, e spesso gli Innocenti, che non sono né Giusti né colpevoli ma semplicemente umani, finiscono per pagare il prezzo più alto. Non è giustizia, non è vendetta divina, è la tragedia dell’Uomo.
A questo punto, è necessario invocare il richiamo profondo della coscienza, quella autentica, capace di distinguere il bene dal male. Chi si ispira ai valori cristiani sa che opporsi al male non significa versare il sangue dell’altro, ma, se necessario, offrire il proprio, in modo consapevole e libero, confidando in una forza che agisce nella Storia rispettando sempre la libertà umana, anche quella di chi sceglie il male. È questa dimensione, che alcuni chiamano Provvidenza, altri semplicemente giustizia o mistero, che ha impedito la vittoria definitiva del nazismo. Ed è proprio questo mistero che interpella ogni coscienza: come porsi di fronte ad esso? Come Einstein o come la Rosa Bianca?
Nel cuore della Germania nazista aveva operato, infatti, il Movimento della Rosa Bianca costituito da un gruppo di giovani cristiani che scelse di opporsi senza violenza. Tra il 1942 e il 1943, Hans e Sophie Scholl, insieme ad altri studenti e al professor Huber, diffusero volantini contro il regime. Furono arrestati, processati, e giustiziati con il volto rivolto alla Verità. Essi pagarono un prezzo elevato, per molti assurdo o (peggio) inutile, ma ricevettero la corona della Giustizia. Una corona che non splende nei saloni del potere, ma nei cuori capaci di scegliere il Bene anche davanti alla Morte.
E oggi? Dove si leva ancora il canto della coscienza? A Roma, in questi giorni, migliaia di giovani si sono ritrovati per il Giubileo con Papa Leone XIV. Hanno lasciato le loro case, superato frontiere e paure, per incontrarsi nel segno della Fede, della Fratellanza universale e del desiderio di un mondo più giusto. Hanno camminato con passo leggero, portando con sé il peso della Storia e l’urgenza del futuro. In loro riecheggia la voce di Sophie Scholl, il dubbio etico di Einstein, e quel richiamo profondo, che alcuni riconoscono come Provvidenza, altri come coscienza o senso della giustizia, che attraversa le epoche senza mai spegnersi. Forse proprio loro, con la forza delle idee e della speranza, saranno capaci di ciò che altri hanno soltanto sognato.
Ma noi, cari Colleghi miei, nel nostro tempo e nel nostro ruolo, come ci poniamo di fronte a questa chiamata della coscienza? Pensiamo che non ci riguardi, che tanto non potremmo far nulla? Ogni scelta, invero, ogni parola, ogni firma, ogni rinuncia — anche nel lavoro quotidiano — può essere una Rosa Bianca o una lettera che non avremmo voluto scrivere. La responsabilità non è solo individuale, ma collettiva. E nel pubblico impiego, dove si esercita la funzione dello Stato, essa diventa ancora più delicata e decisiva.
Il sindacato, in questo contesto, non è solo strumento di tutela, ma presidio di coscienza. Difendere il lavoro pubblico significa difendere la Giustizia, la trasparenza, il diritto, la dignità. Significa scegliere ogni giorno da che parte stare, anche quando nessuno guarda. Significa, talvolta, opporsi senza violenza, ma con fermezza, a ciò che svuota il senso della nostra missione.
Ora, saranno i ragazzi giunti a Roma a salvarci? Forse non da soli. Forse anche noi dovremmo offrire loro sostegno, ascolto, fiducia. Ma se li accompagna la forza della Verità, se nel cuore portano luce e non odio, allora sì: potranno essere il principio di qualcosa che ancora non abbiamo visto. Una Rosa Bianca che fiorisce nel presente — nei luoghi della Fede, lungo le strade di Roma, nella Storia e, perché no, anche dentro i nostri Uffici.
Conclusione.
In tempi incerti, quando la Storia sembra ripetersi sotto nuove forme, è la coscienza, personale e collettiva, a dover tornare protagonista. Non una coscienza astratta, ma incarnata: capace di riconoscere il dolore, di opporsi all’ingiustizia, di scegliere il Bene anche quando costa. Alcuni la chiamano Fede, altri Etica, altri ancora semplice umanità. Ma qualunque nome le si dia, essa è il filo che lega le voci del passato alle speranze del presente.
Buona notte a Tutti.
Vostro affezionatissimo Giancarlo Barra