27/11/2025 00:59:15 |
PCM
LIBERTÀ DI ESPRESSIONE IN GIOCO: DIRPUBBLICA IMPUGNA AL CONSIGLIO DI STATO LA SENTENZA TAR LAZIO
Il pubblico impiego è esercizio di sovranità popolare, non subordinazione privata. Dirpubblica, impugnando la sentenza TAR Lazio, riafferma che il lavoro pubblico deve essere spazio di libertà e controllo civico, non di censura preventiva: la dignità del lavoratore coincide con quella dello Stato.
Comunicato Ufficiale – Dirpubblica ricorre al Consiglio di Stato per difendere la libertà di espressione dei pubblici dipendenti
Dirpubblica – Federazione del Pubblico Impiego – ha depositato ricorso in appello al Consiglio di Stato contro la sentenza n. 5856/2025 del TAR Lazio, che ha respinto il nostro ricorso contro il cosiddetto “Codice di comportamento” di brunettiana memoria.
La sentenza del TAR, che ha dichiarato:
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inammissibile il ricorso introduttivo per carenza di interesse,
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inammissibili i primi motivi aggiunti per difetto di giurisdizione,
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irricevibili i secondi motivi aggiunti per tardività,
non tiene conto della gravità e dell’immediatezza delle lesioni arrecate ai diritti fondamentali dei dipendenti pubblici, né del fatto che le disposizioni contestate sono già state recepite e applicate da amministrazioni come l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. Lo stesso TAR ha riconosciuto la possibilità di riassumere la causa davanti al giudice del lavoro, segno evidente che la questione resta aperta e viva.
Il cuore della questione: libertà di espressione e dignità del lavoratore pubblico
Dirpubblica considera lesive della dignità del pubblico impiegato le norme introdotte dal d.P.R. 81/2023, che impongono:
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il divieto di qualsiasi commento sui social media che possa “nuocere al prestigio” della pubblica amministrazione,
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la censura preventiva sulle esternazioni personali dei dipendenti,
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l’obbligo di autorizzazione per partecipare a convegni o rilasciare dichiarazioni pubbliche.
Queste disposizioni, già recepite nel Codice di comportamento dell’Agenzia delle Dogane, trasformano il diritto di critica in un rischio disciplinare, minando la libertà di pensiero sancita dall’art. 21 della Costituzione e dalle principali carte internazionali sui diritti umani. Esse si pongono anche in contrasto con la normativa sul whistleblowing (d.lgs. 24/2023), che tutela chi denuncia illeciti e violazioni: un divieto assoluto di esternazioni rischia di soffocare proprio le segnalazioni di condotte illegali.
Il ricorso in appello: una battaglia per tutti i dipendenti pubblici
Nel ricorso al Consiglio di Stato, Dirpubblica ha ribadito:
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la sussistenza dell’interesse a ricorrere, reso attuale dalla concreta applicazione delle norme contestate;
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la natura lesiva e immediatamente precettiva del “Codice di comportamento”, che non può essere considerato un mero atto programmatorio;
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l’illegittimità della direttiva ADM e del Codice ADM, che impongono una censura preventiva incompatibile con i principi di proporzionalità, necessità e adeguatezza.
La nostra posizione
Dirpubblica non arretra. Difendiamo con fermezza il diritto dei lavoratori pubblici a esprimere liberamente il proprio pensiero, anche critico, senza timore di ritorsioni disciplinari. La dignità del pubblico impiegato non può essere subordinata alla tutela dell’immagine dell’amministrazione, soprattutto quando questa immagine viene usata come scudo per silenziare il dissenso.
Continueremo a batterci in tutte le sedi, nazionali ed europee, affinché il lavoro pubblico sia anche luogo di libertà, trasparenza e democrazia.