12/7/2023 10:05:20 PM |
Entrate
CONDANNATA L’AGENZIA DELLE ENTRATE A 35.000 EURO DA RIFONDERE A DIRPUBBLICA
Il Consiglio di Stato, Sez. VII, con sentenza 10627 - 07/12/23, ha riconosciuto che Dirpubblica ha subito un danno dall’Agenzia delle Entrate colpevole d’aver perpetrato una condotta illegittima nella gestione degli incarichi dirigenziali. Pubblichiamo la sentenza in attesa delle note tecniche dell’avvocato Carmine Medici, difensore del Sindacato.
Si tratterebbe più precisamente di un danno di tipo esistenziale - consistente nell’alterazione delle abitudini e degli assetti relazionali degli individui che compongono la collettività, con la loro induzione a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della loro personalità nell’organizzazione della pubblica amministrazione della quale fanno parte - per il quale era stato proposto un criterio di liquidazione di tipo equitativo fondato sul maggiore esborso stimato per effetto degli illegittimi e diffusi incarichi dirigenziali, suddiviso per tutti i dipendenti dell’ente.
Al descritto pregiudizio si aggiungerebbe il danno all’immagine, derivante dall’ampia risonanza mediatica dell’interna vicenda (clamor fori), e dalle conseguenti ricadute negative presso l’opinione pubblica sulla dignità professionale e la fiducia nell’operato dei dipendenti dell’Agenzia.
La colpa dell’Agenzia è ravvisabile proprio nell’adozione di una disciplina regolamentare in contrasto con il principio costituzionale del pubblico concorso (art. 97, comma 4, Cost.). La natura di atto generale del regolamento di amministrazione non esime infatti l’ente che lo ha adottato dall’addebito di responsabilità per illegittima attività provvedimentale. Ad essa è pacificamente riconducibile anche l’attività normativa di organizzazione interna dell’amministrazione - prerogativa afferente alla sua posizione di supremazia rispetto ai soggetti posti alle sue dipendenze - riconducibile, dunque, all’esercizio di pubblici poteri ad essa attribuiti dalla legge e che a questa si deve conformare.
Come in precedenza esposto, l’operato dell’amministrazione è innanzitutto rimproverabile nell’adozione ed applicazione costante ed indiscriminata di un regolamento interno contrastante con la Costituzione.
La colpa dell’amministrazione appellata è ancor più evidente se si valuta la sua condotta complessiva nel corso degli anni.
Nella sostanza, una prassi di prolungata e così ampia reiterazione di conferimento di incarichi dirigenziali a soggetti privi di tale qualifica significa introdurre un nuovo canale di accesso alla dirigenza pubblica, non previsto dal legislatore e in palese contrasto con i principi costituzionali sopra richiamati.
La descritta condotta si è rivelata idonea a ledere l’organizzazione sindacale ricorrente in questo giudizio e dunque a procurarle un danno ingiusto. La lesione meritevole di ristoro per equivalente monetario è nel caso di specie riferibile al ruolo del sindacato e alla sua attività di tutela degli interessi dei lavoratori. Sul punto non è revocabile in dubbio che il consolidato sistema di assegnazione degli incarichi dirigenziali invalso all’interno dell’Agenzia delle entrate – il c.d. «mansionismo dirigenziale» - contraddistinto dalla sistematica disapplicazione della regola costituzionale del pubblico concorso, riveste attitudine in concreto a svilire la funzione rappresentativa dell’organizzazione dei lavoratori. Ciò nella misura in cui una situazione diffusa di contrarietà alla norma giuridica fondamentale in materia di progressione di carriera, con correlativa frustrazione delle aspirazioni diffuse presso i lavoratori dipendenti ad una progressione di carriera secondo criteri di predefiniti, obiettivi e di impostazione meritocratica, si pone quale fattore di svuotamento del ruolo del sindacato di ente esponenziale delle aspettative dei lavoratori.