Data  01/03/2019 01:51:20 | Sezione Varie Varie

IPAB Roma - Il licenziamento non ha piegato Maria Pia Capozza, Consigliere provinciale DIRPUBBLICA.


"Bisogna recuperare il rapporto con i bisognosi" - N. Zingaretti Sky TG24 del 28/02/2019 - Ore 20.00
"Bisogna recuperare il rapporto con i bisognosi" - N. Zingaretti Sky TG24 del 28/02/2019 - Ore 20.00

IL Fatto quotidiano, nell’edizione del 27/02/19, con l'inchiesta di Gaia Giuliani, descrive l’inferno delle IPAB romane e la lussuria degli sprechi. DIRPUBBLICA, su impulso dell’avv. Maria Pia Capozza, aveva già chiesto il commissariamento sia a Zingaretti, sia a Salvini (vedi: http://www.dirpubblica.it/contents.aspx?id=3887), ma invano.




DA IL FATTO QUOTIDIANO DEL 27/02/2019 

IPAB LAZIO Sprechi, palazzi abbandonati e ricche commissioni per i fondi privati.

Falsa beneficenza: affari d’oro sugli immobili lasciati ai poveri

Per quasi vent’anni la Regione oggi guidata da Zingaretti ha abbandonato al loro destino lasciti che valevano milioni di euro. E chi ha denunciato è stato cacciato.

GIULIANI

A PAG. 16 - 17

Scandalo Ipab Il caso Lazio Beneficenza ne fanno poca, ma il patrimonio fa gola a tutti

Di Gaia Giuliani.

Solo in pochi le conoscono, valgono miliardi e si occupano, o dovrebbero, di assistenza. Sono le “Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza” (Ipab), che grazie alle donazioni hanno patrimoni immobiliari assai corposi, spesso di pregio, che andrebbero affittati per aiutare orfani, anziani, ciechi e chiunque versi in difficoltà. Presenti in tutta Italia, tecnicamente sono enti pubblici non economici sottoposti a vigilanza regionale. Un decreto legislativo del 2001 ha imposto alle Regioni di trasformarle in “Aziende pubbliche di servizi alla persona” (Asp) tanto più che molte hanno rapporti proprio con la sanità regionale a cui “vendono” servizi. Tutto bene? Mica tanto. Negli anni molti di questi enti hanno finito per essere più produttivi per i loro vertici che per gli assistiti e, in diversi casi, si trovano oggi al limite del dissesto finanziario anche grazie al disinteresse - se non alla partecipazione - delle regioni. Il “caso Lazio” è illuminante. La regione guidata da Nicola Zingaretti s’è ricordata di quel dlgs del 2001 solo due settimane fa. Peccato che durante la vacatio legis sia successo di tutto, tanto che persino il numero delle Ipab laziali è un mistero: l’assessorato al Patrimonio sostiene siano 55; nel 2017 l’assessorato alle Politiche sociali ne aveva censite 57; la Corte dei Conti ritiene che siano molte meno vista la “continua azione di fusione, accorpamento ed estinzione” in atto dal 2005. Ora la legge appena approvata accentra quasi tutto nelle mani della Giunta: l’idea è incentivare le fusioni, il rischio l’ennesimo banchetto attorno a un ricco patrimonio destinato alla beneficenza. Molte Ipab, infatti, hanno bilanci malmessi e adesso la Regione potrà fonderle, chiuderle o liquidarle d’ufficio determinando il prezzo del patrimonio e come venderlo. Un fatto non banale se si pensa al recente passato: le tre Ipab più importanti della regione sono il San Michele, l’Isma (Santa Maria in Aquiro) e il Centro Sant’Alessio, tutte coinvolte negli anni in inchieste della magistratura, esposti all’Anac e scandali come “affittopoli” a causa di canoni stracciati o non riscossi. La Corte dei Conti ha parlato di “indebito arricchimento dei conduttori” cioè degli affittuari. Quando ci sono: in parecchi casi gli immobili sono sfitti. Risultato: più stipendi che beneficenza, conti in peggioramento e qualche bell’affare per i privati. Il caso del Sant’Alessio. Il Centro Sant’Alessio ha la missione di assistere ciechi e ipovedenti. Ricco di immobili di pregio, possiede il gioiello di via Margutta 51a di Vacanze romane, decine di immobili nel cuore di Roma e il complesso cinquecentesco di Casale San Pio, sede dal 2016 della Link Campus University, che però risulta in ritardo col canone per circa 840 mila euro. Ovviamente l’ateneo caro ai grillini e guidato da Vincenzo Scotti non è l’unico esempio di gestione rivedibile del Sant’Alessio, tanto è vero che da anni annaspa in debiti milionari e rischia il dissesto. Qualche tempo fa, visto che non riesce a far fruttare il suo patrimonio, ha deciso di conferirlo a un Fondo gestito da una Sgr: sono 598 immobili in tutto e la Risorsa Srl, una società della Regione, li ha valutati 222 milioni di euro. Stima contestata dall’ex consigliere regionale di FdI Fabrizio Santori: secondo il database dell’Omi – racconta nel 2016 in un esposto all’Anac rimasto senza risposta –il valore è di un miliardo e mezzo. Come che sia, il Sant’Alessio per la gestione del suo patrimonio non si fida del Fondo Invimit del Tesoro, ma - col via libera della Regione - indice una gara che sarà vinta dalla Sorgente di Valter Mainetti, la quale istituisce il Fondo Sant’Alessio operativo da giugno 2017. All’avvio Mainetti addebita al Fondo 1,3 milioni di spese una tantum (due diligence, consulenze legali, ecc). Sorgente, ovviamente, non lavora gratis: i costi gestionali sono un milione l’anno (600 mila per i 7 mesi del 2017). L’inizio non è dei migliori, visto che l’Ipab chiede subito di annullare 20 milioni di euro di quote del Fondo (circa il 9%) per “per seguire l’equilibrio finanziario” cancellando alcuni debiti e rottamando cartelle esattoriali. In sostanza, l’Ipab prende 20 milioni indebitando il fondo. Operazione tanto azzardata che Pompeo Savarino, capo sia della Direzione controllo e vigilanza che dell’Anticorruzione regionale, chiede spiegazioni e blocca tutto: 9 giorni dopo la Direzione viene sciolta e Savarino rimosso pure dall’Anticorruzione che passa ad Andrea Tardiola, vicino a Zingaretti: ovviamente la cosa va avanti accendendo un’ipoteca bancaria sugli immobili che costa 400 mila euro di commissione a Sorgente più i costi del mutuo. Ma almeno così il Sant’Alessio incasserà una bella cedola annuale, dirà il lettore. Forse in futuro, non oggi. Nel 2017 non è prevista alcuna cedola, mentre dai documenti dell’ente risulta che quella per il 2018 è di 3,68 milioni di euro. Una bella cifretta che, curiosamente, è assai inferiore

al business plan iniziale di Sorgente che la calcola in poco più di un milione. Alla fine avrà ragione, e per eccesso, la società di Mainetti che a fine 2017 addebita al Fondo costi totali per 2,95 milioni di euro per via di sopraggiunte “difformità edilizie” da sanare su quasi tutti gli immobili: strano visto che tra i costi una tantum era già inclusa una perizia su questa materia. Il rendiconto di gestione, pur trattandosi di un ente pubblico, non è visibile, eppure sempre in documenti interni si legge che la cedola 2018 è stata decurtata dell’80% arrivando a circa 700 mila euro, ovvero quel che si ottiene sottraendo ai 3,68 milioni vantati dal Sant’Alessio i 2,95 milioni di costi pretesi da Sorgente. Si vedrà se il rendimento salirà in futuro, ma già da ora si può dire che gli interessi sull’ipoteca accesa per annullare le quote lo eroderanno non di poco.

La situazione oggi è resa più complessa dal fatto che Sorgente, a dicembre 2018, è stata commissariata da Bankitalia per “gravi violazioni normative e irregolarità nell’amministrazione”. Tra le ragioni, il contenzioso con Enasarco, la fondazione che garantisce le pensioni agli agenti di commercio: i suoi immobili erano all’interno di due fondi Sorgente che hanno accumulato perdite milionarie a fronte di costi onerosissimi. Sulla vicenda è aperta un’inchiesta a Roma. La guerra dell’Isma. Se il Sant’Alessio piange, Santa Maria in Aquiro non ride. Nel 2016 un’analisi interna riporta un dato interessante: le finalità assistenziali in 12 anni sono passate dal 45 al 4% del bilancio dell’ente. Anche qui non manca uno scandalo sugli affitti: immobili tra il Pantheon e piazza Navona affittati tra 500 e 900 euro, morosità da centinaia di migliaia di euro e il progressivo svuotamento di molti altri palazzi. Poco fortunato, sempre in pieno centro storico, anche l’affitto di uno stabile da 3 mila metri quadrati al Senato: Palazzo Madama doveva pagare 853 mila euro l’anno dal 2003 al 2049, cifra da cui detrarre i costi di ristrutturazione che si sono però rivelati faraonici (26 milioni). Risultato: dal 2018 al 2029 l’incasso sarà zero. Qunado niente e quando troppo: nel 2013 si decide che l’esproprio (assai parziale) per i lavori della Metro C del giardino del meraviglioso palazzo Rivaldi, nel cuore del Foro romano, frutterà all’Isma circa 6 milioni in sette anni. L’avvocato Maria Pia Capozza, segretario generale dell’ente, si accorge che qualcosa non va e alla fine fa ridurre il costo per lo Stato del 75%. Avvia anche un’attività di risk assessment per monitorare l’operato dell’Isma e contesta affitti stracciati, invia decine di segnalazioni all’Anac, si oppone alle svendite e denuncia per appalti fantasma anche Guido Magrini, presidente dell’Ipab fino al 2013, ex direttore delle Politiche sociali regionali con Zingaretti, poi condannato a 3 anni in appello per Mafia capitale (Buzzi lo definì il “Padreterno” della Regione). L’attivismo di Capozza, ovviamente, non piace e la storia non finisce bene: dalla Regione le chiedono di dimettersi. Massimo Pompili, nuovo presidente Isma ex vice della Regione con Marrazzo ed ex deputato Pd, le offre nuovi incarichi purché abbandoni. Lei rifiuta e alla fine viene privata di tutte le deleghe e come segretario esterno, grazie a una provvidenziale modifica statutaria, arriva Sergio Basile, consigliere fuori ruolo della Corte dei Conti e capo di gabinetto del sindaco Gianni Alemanno al momento in cui si stabilì in 6 milioni il prezzo dell’esproprio di Palazzo Rivaldi. Ne segue una bruttissima vicenda che vede Capozza ammalarsi ed essere oggetto addirittura di 38 denunce da parte di Basile finché, dopo ben 9 anni, viene dichiarato nullo il concorso con cui era entrata all’ente. L’Ipab delle “esedre”. Il San Michele è l’Ipab più grande del Lazio: possiede palazzi nel centro storico e anche una delle esedre di piazza della Repubblica, oggi affittata a Boscolo hotel, al multisala The Space e a Officine Italia. Nel bilancio di previsione 2018 l’istituto dichiara il pareggio con 9 milioni di entrate, ma le sue finalità assistenziali consistono oggi solo in una Rsa per anziani non autosufficienti (40 persone) e una casa di riposo (34 ospiti). Un po’ poco? È ancora meno perché si paga una retta: se la pensione non basta, intervengono Comune e Regione. Totale dei costi annui per 74 persone: 1,85 milioni di euro, 25 mila a persona. Sempre meno di quel che costa il personale amministrativo: 1,9 milioni. Il sindacalista Ettore Mantione da anni denuncia irregolarità gestionali, spiegando che il personale supera di gran lunga il numero degli assistiti, i quali non hanno neppure un servizio di accompagnamento e mangiano in una mensa in condizioni igieniche disastrose. Nel 2016 del San Michele si occupò anche l’Anac, segnalando gravi anomalie sui canoni per sublocazioni irregolari. Erano gli anni della contestata gestione di Romeo Francesco Recchia, ex dirigente della Corte dei Conti, presidente dell’Ipab che avocò a sé pure la carica di direttore: il suo regno, durato 16 mesi nel silenzio della Regione, si concluse con le dimissioni dopo l’intervento dell’Anac e un’inchiesta del Tempo. L’Istituto venne commissariato e in tre anni si succedono tre commissari: quello attuale è Vincenzo Gagliani Caputo, deus ex machina del Campidoglio coi sindaci Rutelli, Veltroni e Alemanno, attualmente segretario della Giunta in Regione. La stessa Regione che da anni, nella migliore delle ipotesi, non vigila sulle Ipab e ora ne deciderà la sorte.

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(27/02/2019 - IL FATTO QUOTIDIANO - Pagine 16 e 17 - - 1442,9Kb)



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